La nostra è sempre stata una famiglia M.A.G.I.C.A. (non solo per le iniziali dei nostri nomi: Marina, Alberta, Gerardo, Isabella, Claudio, Annamaria), quanto piuttosto per il grande senso di accoglienza che si è sempre respirato. Da noi tutti erano i benvenuti e gli spazi non mancavano mai. “Allunga il tavolo, non alzare barriere” era il nostro motto.
Ricordo che ero molto piccola quando mia madre e mio padre, già genitori biologici di 4 figli, sognavano di adottare un bambino, desiderio che di fatto, con modalità imprevedibili (come spesso accade), si sarebbe esaudito molti anni dopo.
Nel 2004 mio figlio Simone, appena quattrenne, disse che avrebbe voluto che suo fratello arrivasse dall’Africa. Detto-fatto. In pochi mesi, sfruttando il vento a favore di una burocrazia sorprendentemente veloce e di un Ente veramente serio, divento mamma di un piccolissimo guerriero etiope: 10 mesi di dolcezza e serenità.

Solomon, nel cui nome è incisa la sua essenza, è la persona che più in assoluto mi ha insegnato la gratuità dell’amore.
Quando due braccine ti stringono senza essere attratte da un odore familiare o dal fluire dello stesso sangue, è miracolo puro.
D’altra parte un bambino che scrive in un tema in classe “io sono nato il giorno in cui mia mamma mi è venuta ad abbracciare la prima volta”, è uno che non fa fatica a farti capire cosa sia un sentimento.
E arriviamo ai miei primi quarant’anni. Sono pronta per il cambio della decade e decido di festeggiare alla grande: chiamo accanto a me Simone e Solomon e chiedo loro se avessero piacere ad avere un fratellino o una sorellina. I loro occhi si riempiono di gioia.
Il loro è un sì, a patto che esca dal cuore. La pancia la facciamo riposare.
Ed eccomi di nuovo in Etiopia, una terra che amo come fosse la mia. Questa volta il fiocco è rosa. Mia figlia si chiama Demekech che nella lingua etiope vuol dire “colei che rischiara”.

È cosi ora ci sono loro: Simone, Solomon e Demekech che tanto mi stanno insegnando come donna, come madre ma sopratutto come essere “umano”. Vederli crescere insieme, uniti come neanche le catene riescono a fare, è qualcosa che commuove e riempie il cuore di orgoglio.

Ai miei figli raccomando sempre una cosa: di essere sempre all’altezza di ciò che promettono oggi.
Il loro esempio è più forte di ogni urlo, più efficace di qualsiasi proclama, più dolce del migliore dei sogni.
E a mio padre, che continua a guidarmi nonostante i suoi capelli bianchi, a mia mamma che da tanto tempo è l’angelo più bello del paradiso, il mio grazie più profondo.
Senza il loro esempio, nulla di tutto questo sarebbe stato possibile.
Marina de Luca di Melpignano