Milano, Sabato 15 giugno, ore 05:45.
Sono sulla banchina, binario 6, in attesa del treno che mi porterà a Firenze per partecipare ad un evento organizzato da donne adottate adulte.
Inizio a riflettere su ciò che sto facendo.

Tutta la mia settimana è stata ricca di appuntamenti e organizzazione per la FESTA DELL’ADOZIONE, a cui tengo moltissimo perché mi rendo conto che in questo momento c’è bisogno di uscire da ciò che ci lega solamente ai problemi e alle difficoltà dell’adozione e puntare lo sguardo anche sul dono che è realmente. Ero quindi molto stanco e devo ammettere che il pensiero di abbandonare l’idea di andare a Firenze era costante. Ero molto combattuto.
Giovedì sera presi la mia decisione: “Va bene, parto, inutile tergiversare. Se la Vita mi ha praticamente obbligato ad accettare il fatto che devo impegnarmi in questo mondo adottivo e alla prima stanchezza mi fermo, anche se per un attimo, non sarei onesto con me stesso e con la decisione che presi”. Anche perché avendo detto ormai a chi stava organizzando “Legami” che avrei partecipato, non mi sarei sentito bene con la mia coscienza.
Nel limite del possibile io faccio sempre quello che dico. Non dico mai “sì” se capisco che non potrò farlo.
Quindi sono qui, avendo dormito solo 3 ore. Salgo sul treno e parto.
Ana Carolina, una ragazza adottata dal Brasile che ha creato un gruppo su Facebook solo di ragazzi che sono stati adottati, inizia già a tempestarmi di messaggi su quanto era emozionata per l’incontro che lei aveva organizzato, in contemporanea con Legami, sempre a Firenze.

Mi scrive anche che è felice di conoscermi. Io sono stanco e assonnato e le rispondo a monosillabi.
Sì, dovrò incontrare anche loro. Chissà come sarà. Io non mi creo mai delle aspettative, non per paura di essere deluso dalla realtà ma perché la Natura, la Vita, mi insegnò a vivere le esperienze per come vengono, sempre a braccia aperte. Mi fece capire che ogni esperienza fa parte di una bellezza che arricchisce il mio cuore.

Eccomi finalmente all’evento. Tanti adottivi da tutto il mondo, saremo stati un cinquantina. Le organizzatrici mi sembravano tutte indiane, tre di loro già le conoscevo, Devi Vettore, Maria Forte e Sangeetha Bonaiti. Con mia grande gioia incontro subito la Dott.ssa Joyce Manieri, una psicoterapeuta che stimo davvero tanto, intuisco in lei professionalità e umanità, caratteristiche che, a mio parere, devono esserci sempre. Una non può vivere senza l’altra. La saluto e l’abbraccio, andiamo a prendere un caffè insieme, sento una vicinanza, mi piace molto stare con lei, intuisco che ha un vissuto da raccontare.
Ci dividono per gruppi, io avevo scelto quello che aveva per tema il rapporto con i figli. Io ne ho tre, Francesco, Davide e Letizia, quindi la scelta del gruppo fu semplice. Anche se, ad ogni modo, mi sarebbe piaciuto partecipare anche agli altri gruppi.
Con noi c’è Maria Forte del CIAI (è un po’ il capetto delle donne organizzatrici), un bel viso, un bel sorriso, forte, un aspetto fiero e sicuro, guardandola sento che con lei potrei parlare per ore confrontandoci serenamente o forse anche senza dirci niente, perché a volte bastano due parole e uno sguardo per capire l’infinito.
Siamo impegnati entrambi in una realtà difficile e sento in lei il giusto spirito e…grande intelligenza, cosa per me fondamentale.
Accanto a lei c’è la Dott.ssa Daria Vettori, psicoterapeuta. La guardo, mi piace, umile, semplice nella sua intelligenza che traspare dagli occhi, un sorriso accogliente, non finto, allenato dall’esperienza, ma vero, che arriva direttamente dal cuore.

Gli altri membri del gruppo avevano ognuno un mondo dentro i loro occhi, che belli che erano. Chi più timido e chi meno. Vedere un uomo di cinquanta anni timido mi ha colpito molto, già provavo affetto per lui.
Abbiamo passato momenti bellissimi, ci siamo raccontati, ci siamo aperti, anche se con difficoltà per alcuni. Non tutti avevano ancora capito, anche se adulti, che forse non si erano guardati veramente fino in fondo. Questo confronto ha fatto capire loro che c’era un percorso che dovevano ancora affrontare.
Io mi sono commosso raccontando di mia figlia (forse alcuni di voi hanno visto il video del dialogo che ebbi con lei settimane fa).
I partecipanti hanno anche raccontato il loro vissuto da figli. un ragazzo in particolare mi è piaciuto quando disse che è dovuto cadere nelle profondità per risalire sereno. Ha avuto una bella esperienza da figlio, nel dolore e nella disperazione. Oggi è felice e sento il suo desiderio di comunicarlo al mondo con una gioia che a stento riesce a trattenere. Posso descriverlo perché anch’io da piccolo avevo questo forte desiderio. Lui oggi ha 28 anni. Bello vedere che la Vita dona ad ognuno il suo giusto tempo.
Nel primo pomeriggio ci ritroviamo con tutti i partecipanti, i responsabili dei gruppi raccontano gli spunti di riflessione che sono scaturiti durante il confronto.
Ciò che mi porto a casa è un concetto che da molto tempo esprimo durante le mie testimonianze: non dobbiamo vedere la realtà con la maschera dell’adottivo, come se ogni avventura o disavventura ci capita solo perché siamo figli adottivi. Come dico sempre, siamo figli, uomini, ragazzi normali, con un vissuto più o meno doloroso che ci fa essere più sensibili, con un desiderio di comprensione della Vita più forte. Sono felice che questo pensiero oggi appartenga a molti figli, adulti.
Dobbiamo aiutare chi affoga nella disperazione del proprio vissuto.
Un grade abbraccio a tutte le ragazze che si sono impegnate in questa organizzazione per noi.
Ho visto molti volti felici, abbracci e occhi che brillavano.
Grazie.

Manuel Antonio Bragonzi